Eravamo sbarcati a Comino. Come si sa, Malta è composta di tre isole, Malta, Gozo e Comino. Le prime due sono grandi e popolose, la terza, più piccola, è abitata saltuariamente da pescatori. A quell’epoca, Malta contava 30 mila abitanti in tutto. Quindi il Marchese stabilì di mettere a Comino la base, prima di dare l’assalto a Gozo e Malta. Stranamente, il Turco non s’era impegnato a fermarci sul mare. Forse le nostre quaranta galee (spagnole, toscane, genovesi, vaticane ) in formazione serrata, lo avevano impensierito. La sua flotta, davanti a Malta, non era granchè: molte feluche, molte navi da trasporto, ma non tante galee armate a dovere. Le grandi e numerose galee della flotta di Mustafà, circa 200 partite tre mesi prima da Costantinopoli erano servite soprattutto per trasportare le truppe e le macchine per l’assedio, poi in gran parte erano rientrate alle basi, a Candia e nel Peloponneso...
... All’alba del terzo giorno dallo sbarco a Comino, partimmo decisi all’attacco. Non ci infilammo, come i Turchi si attendevano, nella baia di Malta, né ci fermammo a Gozo che lasciammo defilare sul nostro bordo a dritta. Puntammo su una spiaggia laterale (era stata quella della Maga Calypso? Chissà), preceduti da un cannoneggiamento spaventevole, e davvero i Mori si spaventarono, tale era la potenza di fuoco delle nostre galee. ...Il Marchese Ascanio, solo a vederlo, incuteva terrore. Più che un uomo, pareva una macchina da guerra. Era coperto d’acciaio dalla testa ai piedi: elmo, gorgiera, corazza, cosciali: una splendida armatura, fabbricata dai maestri armaioli di Milano, oltretutto gli era costata un patrimonio. Come facesse a muoversi sotto un tal peso, per me è incomprensibile. E inoltre, a cavallo! E anche il cavallo, povera bestia, col frontale e il puntale di ferro, la gualdrappa, la sella, era un mostro di sofferenza.
Lo attorniavano i primi dei suoi soldati: i nipoti Diomede e Cesare Della Penna, prima di tutti. Poi il loro padre, Ercole Arcipreti Della Penna, poi il Siniscalco, i Capitani e tutti noi. E dietro il reggimento degli “avventurieri” di tutte le razze, romani, napoletani, spagnoli. Come sempre faceva, il Marchese s’era buttato in avanti per primo. E com’era nostro dovere, dietro di lui i Cavalieri del Chiugi, primi dei soldati del Papa, e fra i primissimi Miguel Cervantes, e alle sue spalle (in verità coperto da lui) anch’io. “Vamos, adelante, poeta, sfodera la spada!” ...Mustafà Bey, il comandante delle fanterie, Ucciali Bey, il rinnegato italiano, il pirata Dragout, si misero in mezzo con il grosso delle forze turche. Erano armati inoltre di un paio di “basilischi”, i colossali cannoni turchi da campagna, terrorizzanti forse più per il loro fracasso che per l’effetto mortale delle loro scariche di palle o di mitraglia.
Ma in quel periodo non c’è guerra in Italia ed Ascanio approfitta della conoscenza con Francesco I Re di Francia per porsi subito al suo servizio, andando a combattere alla frontiera spagnola; pochi mesi dopo è con l’esercito imperiale di Carlo V, al comando di 500 fanti, contro Re Francesco. Un’insubordinazione del capitano Giovanni Taddei, che non accettava la superiorità di grado del perugino, pone le premesse di quello che rimarrà un duello celebre, ben rappresentato negli affreschi castiglionesi di Palazzo Corgna . Raggiunto a Firenze il “ribaldo”, Ascanio gli fa pervenire un regolare atto di sfida, che viene accettato. Il 26 maggio 11546, in un campo messo a disposizione dall’Orsini, con una cornice di circa 3.000 persone del “bel mondo” dell’epoca, ha luogo il duello che verrà immortalato dalla relazione scritta che ne fece il Conte di Pitigliano, giudice di campo.
Erano immense bestie di ferro e ghisa, pesanti 180 quintali. Il “Basilisco” poteva sparare una palla di ferro da un quintale. Ma l’armata turca aveva anche più agili ed efficaci cannoni: quelli sbarcati dalle navi, che erano più di cento solo quelli grossi. Comunque, il Marchese non diede loro tempo di sparare molte volte. Il nostro assalto fu così deciso e repentino che li travolgemmo,conquistammo i “basilischi” e glieli volgemmo alle spalle. Basti dire che quella mattina i Turchi perdettero oltre 3000 uomini e noi soltanto 14! Le cronache successive, narrando dell’impeto furioso del Marchese, ebbe a scrivere che “non già i vivi, ma i morti gli sbarravano la strada”.
Alla ripresa della riunione, il Maestro di Campo Generale, Ascanio, tenne la seguente relazione, che io allora ascoltai e ora rileggo con commozione in un libro recentemente pubblicato a Venezia, di Giovan Pietro Contarini:
“Avendo Vostra Altezza comandato che io dia per iscritto il parer mio su quello che si potrebbe fare al presente con le forze che abbiam pronte, presupponendo di avere ora 146 galee, sei galeazze, venti navi e venti fuste e che aspetti altre 60 galee da Candia,delle quali però sono molti giorni che non se ne ha notizia; e presupponendo per contro che l’armata turchesca sia in numero di 250 vele da remo, cioè galee, e che si trovi ora in Dalmazia, dove c’è un esercito di 40 mila o 50 mila uomini; dico che basandoci sui presupposti che ho detto, Vostra Altezza non ha forze bastanti per andar incontro alla flotta nemica, né per tentare alcuna impresa di diversione senza porsi a manifesto pericolo di perdersi malamente essendo troppo diseguali di numero dall’armata del Turco.” “E allora, dovremmo tornare a casa?” ribatté Don Giovanni. “Se Vostra Altezza” proseguì Ascanio, rispondendo all’interruzione “potesse condursi fino a
Brindisi senza correre pericolo d’incontrare l’armata nemica (rimettendomi in questo al giudizio dei Signori più esperti nel navigare) giudicherei che fosse molto ben fatto, perché si darebbe da lì qualche aiuto ai Veneziani i quali credo si trovino in grande confusione. E potrebbe anche essere che trovandosi Vostra Altezza così vicino ai nemici Dio gli prestasse occasione di far bene; ma se questo non si possa fare senza pericolo d’incontrare l’armata nemica io non vedo che Vostra Altezza possa far altro che aspettare la venuta delle galee di Candia, ovvero avviso certo ch’esse non stiano più per venire (che Dio ne guardi) e in questo caso raggruppare settanta ottanta galee per aiutare Brindisi. Almeno in tal modo il mondo vedrebbe che si sarebbe fatto quanto possibile al servizio di Dio. Rimettendomi come sempre ad ogni miglior giudizio.”
Fu questo il responso di Ascanio..... ...E così, il 26 settembre A.D. 1571, domenica, la flotta partì verso Oriente.... La grande flotta attraversò tutto il Mare Jonio e si fermò tra Zante e Corfù; e il Marchese dispose che le due fregate e altre fuste e feluche corressero il mare per snidare i Turchi. Si seppe finalmente che la flotta turchesca era rinserrata nel golfo di Lepanto , in fondo al braccio di mare di Corinto, che separa la Grecia dal Peloponneso. E lì ristava, per imbarcare altri duemila spahis e diecimila giannizzeri, oltrechè viveri e munizioni, per poi prendere il largo..... ...La battaglia s’incentrò ben presto sulla Sultana, l’ammiraglia di Alì Pascià. Don Giovanni ordinò l’arrembaggio e tutti noi che eravamo con lui, alla testa il Marchese Ascanio, ci precipitammo sul nemico. Ammirevole per coraggio fu il Reggimento dei Sardi, che aprì lo scontro con i turchi della Sultana.
Ma i due capi, Don Giovanni e Alì, si esposero senza paura: il primo fu ferito a una gamba, Alì cadde morto per un colpo d’archibugio. Allora si alzò un grido generale d’incoraggiamento. Ascanio prese il posto del ferito Don Giovanni, e cominciò a mulinare lo spadone e intorno a lui i Cavalieri del Chiugi; i Sardi presero il sopravvento sui giannizzeri e la Sultana fu nostra preda. ..Ottanta galee turche furono affondate, 117 catturate, 27 galeotte affondate e 13 catturate. Trenta mila turchi tra morti e feriti gravi. Ottomila furono i turchi presi prigionieri. Vennero liberati 15 mila schiavi cristiani incatenati nelle galee. Per contro, queste le perdite della Lega Santa: 15 galee affondate, 7650 morti e circa altrettanti feriti. Pio V Ghislieri, avvertito pochi giorni dopo, piangendo di gioia per l’inaspettato trionfo, stabilì che il 7 ottobre fosse consacrato a “Santa Maria della Vittoria sull’Islam.”