La prima prova la diede con il Conte di Carpegna, che oltretutto era suo Generale....... Si fecero portare immantinente due spade ciascuno; o più esattamente, come allora usava, spada lunga e spada corta o stocco o mezzaspada, come voglia dirsi. Scelsero i padrini e il Maestro di Campo, che fu il Piero Strozzi. Il terreno di scontro fu il sagrato di San Petronio. Splendida pedana; non solo perché il marmo era liscio e pulito, ma perché la grande scalinata innalzava il piano agli occhi degli astanti sulla piazza e tutti avrebbero potuto assistere alla tenzone da tre lati, meglio che in un teatro. Nei pochi minuti dacchè i due gentiluomini s’erano sfidati e contestati si era fatta una folla, non solo di ufficiali e di soldati, ma di cittadini e cittadine bolognesi ai quali non pareva vero di assistere gratuitamente a un tale spettacolo. La piazza di Bologna, in quel pomeriggio di metà ‘500, era gremita.
I duelli dell’epoca non erano una finzione come in parte divennero poi. Non bastava la prima ferita, il primo graffio : erano all’ultimo sangue. E Ascanio e il Carpegna non erano soggetti facili, erano dei duri, rotti al mestiere del soldato. Piero Strozzi chiese loro invano se intendessero riappacificarsi. Ascanio rispose con voce alta: “Neanche morto¸ a meno che il Conte ammetta il suo torto e chieda scusa, davanti a tutta la nobile Città di Bologna.”. Il Conte diede di matto e urlò: “Arrogante, bambino incosciente! Di che dovrei chiedervi scusa? Voi mi avete provocato per farvi una fama, avete sfidato a duello un Conte e Generale qual son io! Ma affèdiddio, pagherete come merita, la vostra improntitudine.” E un problema serio dovettero affrontare i senesi passata l’euforia della sua cattura: cosa fare di un personaggio cosi prestigioso? Non potevano giustiziarlo, non potevano neanche tenerlo prigioniero troppo a lungo, eppure era uno dei loro nemici più irriducibili:
prima lo trasferirono a Porto Ercole con una scorta di 1.000 fanti e 100 cavaliere (numero giustificato dall’importanza del prigioniero, non per la paura di un eventuale tentativo di liberarlo in quei tempi Ascanio ancora delle truppe sue),poi lo regalarono al Re di Francia, suo amico e devoto al papa suo zio. Ma l’avvenimento che più di ogni altro avvalora la portata della sua fama fu la solennità dei suoi funerali che durarono ben nove giorni. Dopo i primi quattro durante i quali la salma fu esposta a Roma, per i successivi tre di viaggio il Papa dette ordine di far suonare la campane a morto di tutte chiese dove passava il feretro, ed ai vescovi di Narni e di Todi di andargli incontro lungo la strada. “Volete smettere, vogliamo far decidere al dottore?”, suggerì lo Strozzi. “Nemmeno per idea, toglietevi di mezzo, voglio estrargli le budella a quel bevitore d’Albana!”, gridò Ascanio. “No, ancora”, barbugliò il Conte Ugo, più che altro per puntiglio, perché sentiva mancargli le forze.
Alla quarta ripresa, Ascanio lo centrò sia con la spada, al petto, che sul fianco con lo stocco. Stavolta erano gran brutte ferite. Il Conte non reggeva più la spada, si difendeva con lo stocco, parando malamente gli affondi del giovane avversario. Rischiò di ruzzolare giù per la scalea di San Petronio.... Il Piero Strozzi andò da Ascanio e gli chiese: “Della Corgna, vi dichiarate soddisfatto?” “Non ancora”, rispose Ascanio, più che mai incarognito. “Deve chiedermi la grazia della vita”. “Pretendete un po’ troppo”, commentò Strozzi. “Può chiedere scusa, chiedere la grazia è troppo umiliante”, convennero i padrini. “Chiedo scusa”, sussurrò il Conte. “Più forte, devono udire tutti”, impose il vincitore. “Scusa!”, gridò il povero Conte, con quanto fiato gli era rimasto in corpo. “E dichiaro che avete detto il vero”. Ascanio levò alta la spada, debitamente insanguinata, poi con calma e affettazione l’asciugò con la sciarpa…. Giannetto Taddei e il "Duello del Secolo"
Senonchè qualche mese dopo, a Casale, il Taddei tradì l’Ascanio. Non passò, questo no, al nemico. Ma fece di peggio, a parere del suscettibile Ascanio. Diceva in giro, a cani e porci, che non da Ascanio, ma dal Colonna aveva avuto la compagnia. Avvertito da qualche gola profonda, Ascanio lo mandò a chiamare: voleva punirlo, degradarlo, togliergli soldo e compagnia. Che se ne andasse o lo avrebbe sfidato a duello. Ma il Capitano insistette nel diniego; e anzi, diede del mentitore al suo Colonnello. Forse s’era illuso: aveva preso troppo sul serio le lodi di Ascanio per la sua qualità di spadaccino, nel duello col Giannotti. Si sentiva giovane e in ascesa e sapeva bene che se avesse sconfitto Ascanio in duello, la sua fama sarebbe ingigantita, forse rapidamente sarebbe asceso a sua volta a colonnello, a generale… Il “campo franco” fu dato dal Conte di Pitigliano, ch’era un Principe Orsini. Quando si decise il duello era marzo: l’ appuntamento fu fissato a due mesi dopo, la seconda domenica di maggio, a Pitigliano.
V’era così il tempo non solo perché i due contendenti si preparassero convenientemente, ma anche per predisporre il cerimoniale, complicatissimo, e soprattutto per una grande pubblicità dell’avvenimento. Che divenne perciò “il duello del secolo”. Convennero nei giorni stabiliti a Pitigliano migliaia di persone, sia spontaneamente sia perché sollecitate e in parte pagate dai duellanti. Erano convenuti i nobili, gli intenditori, gli uomini d’arme e perfino ecclesiastici borghesemente vestiti, ufficialmente in incognito ma egualmente riconoscibili e riconosciuti. Per tutti costoro, erano state innalzate due tribunette di legno, sui due lati, sulle quali erano divisi i più notabili amici dell’uno e dell’altro. C’erano parecchi illustri ospiti del Conte Orsini: il Duca di Castro, il Conte di Santa Fiora, il Principe Marzio Colonna, il Principe Piero Strozzi. Ascanio aveva per padrini, nientemeno che Virginio Orsini e Girolamo da Pisa.
Nel prato era stato drizzato lo steccato entro il quale i contendenti dovevano battersi, senza che nessuno, tranne il Conte di Pitigliano e i padrini, potesse entrarvi. I due prodi erano vestiti di leggero taffetà: rosso Ascanio, bianco Taddei, con sotto una bianca camiciola, come può vedersi nel dipinto del Pomarancio; brachette colorate a strisce, calze bianche. Il duello è puntualmente e assai bene riferito nella “Patente” che il Conte Orsini rilasciò ad Ascanio Della Corgna,come testimonianza del fatto. Il Conte di Pitigliano scrive in qualità di Maestro di Campo, arbitro del duello. “Avendo io concesso le mie patenti e lettere date in Sorano l’11 Marzo del 1546 ai magnifici e strenui Capitani Ascanio Della Corgna e Giovanni Taddei in Pitigliano e in Sorano luoghi miei, campofranco libero e sicuro, dove siccome erano convenuti potessero parlare e venire alle mani, e a tutto transito definire ogni loro differenza,
come più ampiamente per esse veder si può in testimonio della verità, siccome son tenuto, per queste mie simili fo fede ad ogni persona nelle cui mani esse perverranno, come il dì determinato, che fu il 26 Maggio 1546, li predetti due magnifici e strenui capitani comparvero in luogo deputatogli da me, in Pitigliano, dove trovandosi l’Ill.mo et Ecc.mo Duca di Castro innanzi al quale in Roma erano state chiuse et incassate l’armi con le quali eran rimasti d’accordo d’aver a eseguire quanto tra essi convenuto et al suo sigillo sigillato alla medesima presenza furono e per un Capitano di Sua Eccellenza ad incassarle deputato, fatta fede quelle esser le stesse che furono dagli uomini del Capitano Giovanni coll’assistenza di due del Capitano Ascanio portate in campo ed al Padrino del Capitano Ascanio datone l’eletta, il quale ne tolse due integre e due mezze, ma prima comparvero i guanti dritti di maglia avendo ognuno portato il suo, ed altrettanto ne rimasero al Capitano Giovanni
datone a ciascuno una integra e una mezza in mano, le altre due diedero in mano mia con patto che rompendosi qualsiasi d’esse gli si desse l’altra, né vollero far altra composizione né capitolazione riportandosi a combattere a tutto transito. Quando poi furono all’ordine, il Capitan Ascanio si levò in piè e queste o simili parole disse: “Tu menti per la gola avendo avuto la compagnia da altri che da me ed hai fatto da ingrato soldato e questo io combatto.” Al che il Capitano Giovanni senza aspettare che finisse quanto Ascanio volea dire, rispose che: “Un mentito non potea smentire, ed io combatto la mentita che ti ho data, di quando hai parlato in pregiudizio dell’onor mio.” E perché io li avea fermati sia per osservare le mie patenti, sia perché speravo che con questo mezzo si fosse potuto sfuggire il pericolo dell’armi, veduto che la collera moltiplicava e che ognuno volea venire alle mani , mi tirai da parte e così valorosamente si affrontarono.
Dove nacque che il Capitano Ascanio in poco tempo diede due stoccate al Capitano Giovanni, al braccio dritto con la spada integra e poco dapoi gliene diede un’altra in petto, la quale ricevuta poco stette che il Capitano Giovanni cascò morto in terra, per il che il Capitano Ascanio rimase vincitore e a maggior fede delle sopraddette gli ho fatte fare le presenti sottoscritte di mia propria mano e sigillate col mio consueto sigillo. In Pitigliano, il Conte di Pitigliano.